Alfred Hitchcock e il panorama Hollywoodiano dopo la seconda guerra mondiale
- Alessia Goisis
- 30 ott 2022
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 17 lug 2024
Il cinema degli anni Quaranta e Cinquanta fu nettamente segnato dal clima della guerra fredda e del maccartismo che portò alla stesura di vere e proprie liste nere di sceneggiatori, registi, attori sospettati di simpatie comuniste. In questi anni l’industria hollywoodiana continuò ad essere dominata dal sistema degli studi (dalle “Cinque grandi”: Paramount, Warner Bros, MGM, 20th Century-Fox e RKO; dalle “Tre piccole”: Universal, Columbia e United Artists).
La minaccia peggiore fu quella rappresentata dal vistoso calo di pubblico, dovuto soprattutto all’avvento della televisione che, inoltre, portò il cinema a non essere più spettacolo per famiglie, e andò alla ricerca di un pubblico più differenziato, in particolare di quello giovanile. Dunque si diffusero film pensati per i giovani (con giovani protagonisti, appartenenti a generi che puntavano a soddisfare i loro gusti ad es. Gioventù bruciata di Nicholas Ray, 1955).
Stile e generi
Il cinema americano continua a percorrere la strada dei modelli classici degli anni Trenta. I film di fantascienza e horror in modi e forme diverse traducevano in termini spettacolari le inquietudini dell’epoca (la paura dell’atomica e quella per l’altro, dell’invasione dei sovietici comunisti).
Altri generi che godevano di un certo successo erano il musical (es. Cantando sotto la pioggia di Gene Kelly, 1952), il cinema epico (es. Spartacus di Stanley Kubrick, 1960) e il western (es. Il fiume rosso di Howard Hawks). Quest’ultimo si sviluppò anche in un’altra direzione, assumendo un tono crepuscolare e avvalendosi di caratteri più complessi, quando non apertamente ambigui e contradditori. Incontrotendenza rispetto alla spettacolarità hollywoodiana, ma in perfetta sintonia con la dimensione di incertezza, ambiguità e pessimismo si muove il film noir, erede in qualche misura del gangster film degli anni Trenta, prende le mosse da Il mistero del falco di John Huston, 1946 e dà vita a un mondo criminale segnato da incertezza, inganno e disperazione.
In sostanza si può dire, generalizzando, che il cinema americano del dopoguerra fu in certa misura più attento ai problemi sociali e al dramma dell’uomo in determinati contesti socio-politici, rispetto al corrispondente cinema pre-bellico.
Alfred Hitchcock

Anche se inizia a fare cinema nell’Inghilterra degli anni Venti, è negli Stati Uniti (dove si trasferisce nel 1939), che porta a maturazione i motivi ricorrenti della sua poetica, tra cui, il più importante, il concetto di suspence. Suspence, un concetto inteso come sinonimo di attesa, con i risvolti della paura, del sospetto, dell’attenzione che questo termine può inglobare. Costruisce i suoi film non tanto giocando sulla sorpresa (dove qualcosa accade all’improvviso senza che lo spettatore ne sia avvertito) ma facendo in modo che lo spettatore sia messo al corrente di quanto terribile sta per accadere, quindi costringendolo a vivere con trepidante partecipazione lo svolgersi degli eventi. Ma lasciamo la parola a lui:
“La differenza tra suspense e sorpresa è molto semplice e ne parlo molto spesso. Tuttavia nei film c’è spesso confusione tra queste due nozioni. Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom, l’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse. Ora veniamo alla suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perchè ha visto l’anarchico mentre la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto - c’è l’orologio nella stanza -; la stessa conversazione insignificante diventa tutt’a un tratto molto interessante perchè il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: “Non dovreste parlare di cose così banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro”. Nel primo caso abbiamo offerto al pubblico quindici secondi di sorpresa al momento dell’esplosione. Nel secondo caso gli offriamo quindici minuti di suspense. La conclusione di tutto questo è che bisogno di informare il pubblico ogni volta che è possibile, tranne quando la sorpresa è un twist, cioè quando una conclusione imprevista costituisce il sale dell’aneddoto.”
[da Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut]
I protagonisti dei film di Hitchcock sono raramente dei professionisti del crimine, poliziotti in servizio o malviventi, bensì uomini e donne comuni, in cui lo spettatore può facilmente identificarsi; per un errore commesso o per caso, questi personaggi si trovano coinvolti in una terribile e vertiginosa avventura, un vero e proprio incubo, in cui la loro anima deve confrontarsi con il male, che è quasi sempre espressione di qualcosa che si muove nel loro inconscio.
Le tematiche ruotano attorno al confine che separa colpa e innocenza, all’ambiguità morale, alle ossessioni mentali del dubbio, del peccato (commesso o supposto che sia) e della paura di essere puniti, ai conflitti di coscienza, alla diffusa presenza di doppi e falsi colpevoli, portando alle estreme conseguenze un cinema soggettivo dove ogni dettaglio è ambiguamente significante e tutto passa attraverso il filtro della psiche.
Hitchcock ricorre ad uno stile che solo in apparenza si discosta da quello classico, ma che nella realtà dei fatti lo forza portandolo ben oltre i suoi limiti prestabiliti, con l’invenzione di soluzioni visive di grande impatto e forza espressiva, su cui domina l’uso delle inquadrature in soggettiva che, alternate a quelle oggettive sul volto del personaggio che guarda, ne traducono le ossessioni mentali e spingono lo spettatore al massimo dell’identificazione possibile. Il linguaggio e la narrazione hitchcockiani, che spesso si fanno beffe del concetto di verosomiglianza , relegano in secondo piano le preoccupazioni del realismo, nella convinzione, sono ancora parole del regista, che il cinema non sia un “pezzo di vita”, ma “una fetta di torta”
“Non filmo mai un “pezzo di vita” perchè tutti lo possono trovare senza difficoltà a casa loro, nelle strade e anche davanti all’ingresso del cinema. Non c’è bisogno di pagare per vedere “un pezzo di vita”. Del resto non mi interessano nemmeno i soggetti puramente fantastici, perchè è importante che il pubblico possa riconoscersi nei personaggi. Girare un film, per me, significa innanzitutto raccontare una storia. Questa storia può essere inverosimile, ma non deve mai essere banale. E’ preferibile che sia drammatica e umana. Il dramma è la vita dalla quale sono stati eliminati i momenti noiosi. Poi entra in gioco la tecnica e, qui, sono contrario a virtuosismi. La tecnica deve arricchire l’azione. Non si tratta di scegliere un'angolazione che susciti l'entusiasmo del capo operatore. L'unica mia preoccupazione, mettendo la macchina in questo o quel posto, è quella di ottenere la scena nella migliore forma possibile. La bellezza delle immagini, la bellezza dei movimenti, il ritmo, gli effetti, tutto deve essere subordinato e sacrificato all'azione.”
[da Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut]
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